IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE 
    Ha pronunciato la seguente ordinanza sui ricorsi riuniti nn. 2690
e 2948/2008 proposti dai sigg. D'Angelo Nicolina, De  Marco  Gennaro,
De Marco Vittoria e De Marco Tecla, rappresentati e difesi dagli avv.
Riccardo Soprano ed Antonio Sasso ed elettivamente domiciliati presso
il loro studio in Napoli, via Toledo n. 156; 
    Contro   Comune   di   Casapesenna,   in   persona   del   legale
rappresentante pro tempore, rappresentato e  difeso  dall'avv.  Mario
Salvi ed elettivamente domiciliato presso il suo  studio  in  Napoli,
alla via Andrea D'Isernia n. 16  e  con  l'intervento  ad  opponendum
della A.S. Casapesenna, in  persona  del  legale  rappresentante  pro
tempore,  rappresentata  e   difesa   dall'avv.   Nicola   Salvi   ed
elettivamente domiciliata presso il suo studio in  Napoli,  alla  via
Andrea D'Isernia n. 16, per ottenere: 
        quanto al ricorso n. 2690/2008:  l'esecuzione  del  giudicato
formatosi sulla sentenza di questa sezione n. 73 del 9 gennaio  2008,
notificata in data 11-14 gennaio 2008, non impugnata e con  la  quale
il  Comune  di  Casapesenna  e'  stato  condannato  a  restituire  ai
ricorrenti il terreno di loro  proprieta',  previo  ripristino  dello
stato dei luoghi; 
        quanto  al  ricorso  n.  2948/2008:  l'annullamento,   previa
sospensione, della delibera di Consiglio comunale n. 2  del  5  marzo
2008 di acquisizione al patrimonio comunale ex art. 43 del d.P.R.  n.
327/2001,  nonche'  per  l'accertamento   del   diritto   ad   essere
reintegrati nella piena titolailta'  e  nel  possesso  del  fondo  di
proprieta' in Casapesenna fl. n. 12 part.lla 
        n. 24 previa rimozione delle opere eseguite, nonche'  in  via
subordinata per la condanna del comune al risarcimento dei danni; 
    Visti i ricorsi con i relativi allegati; 
    Viste le memorie depositate dal Comune di Casapesenna; 
    Visto l'atto di intervento della A.S. Casapesenna; 
    Visto il ricorso incidentale proposto dal Comune di Casapesenna; 
    Vista la documentazione depositata dal Comune di Casapesenna; 
    Vista l'ordinanza di questo tribunale n.  1742  del  2008,  quale
resa sul ricorso n.  2948/2008,  di  accoglimento  della  domanda  di
sospensione; 
    Vista l'ordinanza di questo tribunale n. 576 del 2008, quale resa
sul ricorso n. 2690/2008, di rinvio  della  trattazione  della  causa
all'udienza pubblica del 9 ottobre 2008; 
    Vista la memoria della A.S. Casapesenna; 
    Vista la memoria del Comune di Casapesenna; 
    Vista la memoria di parte ricorrente; 
    Visti gli atti tutti della causa; 
    Designato relatore il primo referendario Gabriele Nunziata per la
pubblica udienza del 9 ottobre 2008, ed ivi uditi gli  avvocati  come
da verbale; 
    Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue. 
                              F a t t o 
Quanto al ricorso n. 2690/2008. 
    Espongono in fatto gli odierni ricorrenti di  essere  proprietari
di un fondo in Casapesenna al  fl.  12  p.lla  24,  gia'  oggetto  di
procedura ablatoria  in  ordine  alla  quale  questo  tribunale,  con
sentenza n. 73/2008, ha annullato gli atti impugnati e condannato  il
comune a restituire ai ricorrenti il terreno previo ripristino  dello
stato  dei  luoghi.  Tale  provvedimento  non  e'  stato  gravato  di
impugnazione, di qui la rituale diffida  cui  non  e'  seguito  alcun
riscontro. 
Quanto al ricorso n. 2948/2008. 
    Richiamate le circostanze di cui al precedente ricorso, espongono
i ricorrenti che, con nota n. 330 del 23 gennaio 2008, il  Comune  di
Casapesenna ha comunicato l'avvio del procedimento  per  l'emanazione
del provvedimento  di  cui  all'art.  43,  comma  2,  del  d.P.R.  n.
327/2001, mentre con l'impugnata delibera del Consiglio comunale n. 2
del 5 marzo 2008  e'  stata  disposta  l'acquisizione  al  patrimonio
indisponibile  delle  aree  di  cui   al   n.   12   part.lla   5304,
corrispondendo a titolo di  risarcimento  dei  danni  la  complessiva
somma di € 86.856,26. 
    Il  Comune  di  Casapesenna  si  e'  costituito  per  negare   la
formazione del giudicato sulla sentenza n. 73/2008 e  replicare  alle
singole censure spiegate da parte ricorrente; con ricorso incidentale
e' stato poi chiesto che il tribunale,  in  caso  di  fondatezza  dei
ricorsi, disponga la sola condanna al  risarcimento  del  danno,  con
esclusione della restituzione del bene, ai sensi e per gli effetti di
cui all'art. 43, comma 3,  del  d.P.R.  n.  327/200l,  sostenendo  la
prevalenza dell'interesse pubblico  al  mantenimento  dell'opera.  La
A.S. Casapesenna calcio, in sede di intervento, ha insistito  per  il
rigetto dei ricorsi. 
    Alla pubblica udienza del 9 ottobre  2008  le  cause  sono  state
chiamate e trattenute per la decisione, come da verbale. 
                            D i r i t t o 
    1. - Con i ricorsi in esame i ricorrenti deducono l'elusione  del
giudicato formatosi  sulla  citata  pronuncia  di  questo  tribunale,
nonche' la violazione dell'art. 43  e  dell'art.  57  del  d.P.R.  n.
327/2001, dell'art. 21-septies e dell'art. 7 della legge n.  241/1990
oltre all'eccesso di potere per difetto di istruttoria. 
    2. - Il Collegio ritiene preliminarmente di disporre la  riunione
dei ricorsi attesa la connessione oggettiva e soggettiva. 
    3. - Quanto al merito della vicenda, e'  noto  che,  in  caso  di
annullamento giurisdizionale degli atti inerenti  alla  procedura  di
espropriazione  per  pubblica  utilita'  (dichiarazione  di  pubblica
utilita' e occupazione di urgenza), il proprietario puo'  chiedere  -
mediante il giudizio di  ottemperanza  -  la  restituzione  del  bene
piuttosto che il risarcimento del danno  per  equivalente  monetario,
anche se l'area e'  stata  irreversibilmente  trasformata  a  seguito
della realizzazione dell'opera pubblica. 
    L'unico  rimedio  riconosciuto  dall'ordinamento  alla   pubblica
amministrazione  per  evitare  la  restituzione   dell'area   e'   la
emanazione di  un  (legittimo)  provvedimento  di  acquisizione  c.d.
«sanante» ex art. 43 del d.P.R. n. 327/2001,  in  assenza  del  quale
l'amministrazione  non  puo'  addurre  la  intervenuta  realizzazione
dell'opera pubblica quale causa di impossibilita' oggettiva e  quindi
come impedimento alla restituzione  (Cons.  Stato,  A.P.,  29  aprile
2005, n. 2). 
    3.1. - La vicenda in esame fu oggetto di una prima  pronuncia  di
questa sezione (23 gennaio 2003, n. 388) con la quale,  in  relazione
ad una delibera di Giunta di approvazione del progetto esecutivo  per
la realizzazione di un campo di calcio ed alla successiva delibera di
approvazione  del  progetto  per  i  lavori  di  completamento  delle
attrezzature sportive con acquisizione dell'area in questione,  venne
censurato l'operato dell'amministrazione  in  ragione  non  solo  del
mancato  compimento  dell'iter  previsto  per  la  formazione   della
variante urbanistica, ma  anche  dell'inadempimento  dell'obbligo  di
assicurare il contraddittorio con i soggetti interessati,  adempiendo
alle  formalita'  all'uopo  previste  dalle  specifiche  disposizioni
regolanti l'iter espropriativo a tutela appunto  delle  garanzie  del
giusto procedimento. 
    Con successive sentenze veniva prima (5  giugno  2003,  n.  7290)
annullata una nota del comune di diniego di  restituzione  del  suolo
occupato e disposta la restituzione dello stesso con ripristino dello
stato dei luoghi, poi (24 dicembre 2003, n. 15611) accolto il ricorso
per l'esecuzione del relativo giudicato con nomina di un  commissario
ad acta. 
    Poiche', pur riconoscendosi  l'illegittimita'  dei  provvedimenti
impugnati,  era  stata  dichiarata  l'inammissibilita'   dei   motivi
aggiunti con i quali parte ricorrente aveva chiesto  la  restituzione
dell'area  dal  momento  che  «il  fondo  ha  subito   una   radicale
trasformazione a causa della esecuzione dei  lavori,  i  quali  hanno
portato  alla  realizzazione  di  una  porzione   significativa   del
complesso sportivo. ... Pertanto, nonostante  l'illegittimita'  della
attivita' costruttiva, va riconosciuto che il  risultato  costruttivo
presenta la vocazione ad una destinazione ed utilizzazione dell'opera
a fini pubblicistici, per cui i ricorrenti  hanno  perduto  il  bene,
attratto dal regime giuridico della nuova opera  pubblica.»,  l'adito
Consiglio  di  Stato  (3  maggio  2005,  n.   2095)   dichiaro'   che
sull'amministrazione gravava l'obbligo di restituire l'area  occupata
e detenuta illegittimamente, atteso che il diritto alla  restituzione
del bene, conseguendo  automaticamente  all'annullamento  degli  atti
ablatori, era sorretto da una causa autonoma che lo rende insensibile
alle vicende della diversa domanda di risarcimento dei  danni,  tanto
piu' che l'impianto sportivo era ben lungi dall'essere  completato  e
il terreno non aveva ancora subito quella radicale trasformazione che
avrebbe rappresentato un ostacolo insormontabile al ripristino  dello
status quo ante. 
    3.2. - Con sentenza di questa sezione n. 73/2008 sono  poi  stati
annullati per incompetenza gli  atti  inerenti  l'adozione  da  parte
della Giunta comunale della procedura ex art. 43 del  d.P.R.  n.  327
del 2001, con condanna del comune intimato a restituire ai ricorrenti
il terreno previo ripristino dello stato dei luoghi. 
    Nel  frattempo,  tuttavia,   a   seguito   della   apertura   del
procedimento con nota n. 330 del 23 gennaio 2008, e'  intervenuto  il
provvedimento di acquisizione sanante ai  sensi  dell'art.  43  sopra
menzionato, sicche' la richiesta  restituzione  quale  ripristino  in
forma  reale  non  puo'  piu'  avere  luogo.  Si   ritiene   infatti,
pacificamente che anche in sede di  giudizio  di  ottemperanza  trovi
applicazione la disposizione dell'art. 43 del d.P.R. n. 327 del  2001
che, in caso di apprensione e modifica  di  res  sine  titulo  o  con
titolo  annullato,  consente  la  possibilita'  di  neutralizzare  la
domanda di restituzione del bene proprio e solo con l'adozione di  un
atto formale preordinato alla acquisizione  del  bene  medesimo  (con
corresponsione di quanto spettante a titolo risarcitorio), ovvero con
la speciale domanda giudiziale formulata nel giudizio in questione ai
sensi dello stesso art. 43. 
    4. - Avuto riguardo alla delibera di Consiglio comunale n. 2  del
5 marzo 2008 di acquisizione al patrimonio comunale ex  art.  43  del
d.P.R. n.  327/2001,  nonche'  alla  richiesta  di  accertamento  del
diritto ad essere reintegrati nella piena titolarita' e nel  possesso
del fondo di  proprieta'  in  Casapesenna  fl.  n.  12  partita  2626
part.lla n. 24 previa rimozione delle opere eseguite, nonche' in  via
subordinata di condanna del comune  al  risarcimento  dei  danni,  la
sezione osserva  che  e'  proprio  l'assetto  degli  interessi  quale
definito con la citata delibera consiliare  che  diventa  oggetto  di
verifica di legittimita'. 
    4.1. - Non si ritiene di poter in questa  sede  ignorare  che  la
giurisprudenza della cassazione (es. SS.UU., 6 maggio 2003, n.  6853)
ha   individuato   i   caratteri   nella    cosiddetta    occupazione
appropriativa: 
        a)  nella  trasformazione  irreversibile   del   fondo,   con
destinazione ad opera pubblica  o  ad  uso  pubblico,  che  determina
l'acquisizione della proprieta' alla mano pubblica; 
        b) nel fenomeno, in assenza di formale decreto di  esproprio,
che ha il carattere dell'illiceita', che si consuma alla scadenza del
periodo di  occupazione  autorizzata  (e  quindi  legittima)  se  nel
frattempo l'opera pubblica e' stata  realizzata,  oppure  al  momento
della trasformazione qualora  l'ingerenza  nella  proprieta'  privata
abbia gia' carattere  abusivo  o  se  essa  acquisti  tale  carattere
perche' la trasformazione  medesima  avviene  dopo  la  scadenza  del
periodo di occupazione legittima; 
        c)  nell'acquisto  a  favore  della  p.a.  che  si  determina
soltanto  qualora  l'opera  sia  funzionale   ad   una   destinazione
pubblicistica, e cio' avviene solo per effetto di  una  dichiarazione
di pubblica utilita' formale o connessa  ad  un  atto  amministrativo
che, per legge, produca  tale  effetto,  con  conseguente  esclusione
dall'ambito applicativo dell'istituto di comportamenti della p.a. non
collegati  ad  alcuna  utilita'   pubblica   formalmente   dichiarata
(cosiddetta occupazione usurpativa), o per mancanza ab  inizio  della
dichiarazione di pubblica utilita' o perche' questa e' venuta meno in
seguito ad annullamento dell'atto in cui essa  era  contenuta  o  per
scadenza dei relativi termini (in tal caso non si  produce  l'effetto
acquisitivo a favore della p.a. ed il proprietario puo'  chiedere  la
restituzione del fondo occupato e, se a  tanto  non  ha  interesse  e
quindi vi rinunzi, puo' avanzare domanda di risarcimento  del  danno,
che deve essere liquidato in misura integrale); 
        d)  nella  circostanza  che  il  soggetto   che   ha   subito
l'ablazione di fatto, per ottenere  il  risarcimento  del  danno,  ha
l'onere di proporre domanda in sede giudiziale entro  il  termine  di
prescrizione quinquennale (art. 2947  c.c.),  la  cui  decorrenza  e'
ancorata alla data di scadenza dell'occupazione legittima se  l'opera
pubblica e' realizzata nel  corso  di  tale  occupazione,  oppure  al
momento  dell'irreversibile  trasformazione  del  fondo  se  essa  e'
avvenuta dopo quella scadenza (o in assenza di decreto di occupazione
d'urgenza, ma sempre nell'ambito di valida dichiarazione di  pubblica
utilita'). 
    4.2.   -   Tuttavia    tale    ricostruzione    giurisprudenziale
dell'occupazione  appropriativa   (e   usurpativa)   e'   del   tutto
incompatibile con la disciplina normativa introdotta  dal  d.lgs.  n.
327/2001 ed  entrata  in  vigore  il  30  giugno  2003.  Quest'ultimo
contiene, infatti, un capo VII, intitolato  alle  «Conseguenze  della
utilizzazione di un bene per scopi di interesse pubblico, in  assenza
del valido  provvedimento  ablatorio»,  nel  quale  rientra  soltanto
l'art. 43, la cui rubrica e' «Utilizzazione senza titolo di  un  bene
per scopi di interesse pubblico». 
    L'incompatibilita' tra  le  attuali  previsioni  di  legge  e  la
ricostruzione «pretoria» del  fenomeno  occupazione  appropriativa  e
usurpativa e' evidente, se solo  si  considera  che  la  disposizione
sopra riportata  subordina  all'adozione  di  apposito  provvedimento
discrezionale  il  trasferimento  di  proprieta'  dei  beni  immobili
utilizzati  per  scopi  di   interesse   pubblico,   a   seguito   di
modificazione  avvenuta   in   assenza   del   valido   ed   efficace
provvedimento di esproprio o dichiarativo della pubblica utilita'. 
    4.3. - La legge esclude,  dunque,  che  nel  caso  di  accessione
invertita  un  simile  trasferimento  avvenga  «automaticamente»,   a
seguito  dell'irreversibile  trasformazione  del  bene,  come  invece
affermato dalla giurisprudenza. D'altra parte la  Corte  europea  dei
diritti dell'uomo, con due sentenze del 30 maggio 2000,  ha  ritenuto
cio' in contrasto con l'art. 1, protocollo n.  1,  della  Convenzione
europea dei diritti dell'uomo, determinando  l'esigenza,  soddisfatta
appunto con  l'introduzione  nel  testo  unico  sulle  espropriazioni
dell'art. 43, «di adeguare l'ordinamento italiano  alla  Convenzione»
(Cons. Stato, Adunanza generale, parere 29 marzo 2001,  n.  4,  punto
13.3). Ne' puo' sostenersi che l'art. 43 cit. disponga  solo  per  le
occupazioni successive alla sua entrata  in  vigore,  dato  che  esso
riveste natura di norma processuale  e  trova  pertanto  applicazione
immediata (Cons. Stato, IV, 21 maggio 2007, n. 2582; A.P., 29  aprile
2005, n. 2; T.a.r. Emilia-Romagna, Bologna, I, 27  ottobre  2003,  n.
2160), trattandosi  di  disposizione  riferita  a  tutti  i  casi  di
occupazione sine titulo, anche gia' sussistenti alla data di  entrata
in vigore del Testo Unico. 
    4.4. - La Consulta, da canto suo (sent. nn. 188 del  1995  e  384
del 1990), ha  affermato  il  principio  che  l'accessione  invertita
realizza un modo di acquisto  della  proprieta'  giustificato  da  un
bilanciamento fra interesse pubblico  (correlato  alla  conservazione
dell'opera in tesi pubblica) e  l'interesse  privato  (relativo  alla
riparazione  del  pregiudizio  sofferto  dal  proprietario)  la   cui
correttezza  «costituzionale»  sarebbe  confortata  «dal  porsi  come
concreta manifestazione, in definitiva, della funzione sociale  della
proprieta»; la misura  della  liquidazione  del  danno  non  potrebbe
prescindere dalla adeguatezza  della  tutela  risarcitoria  che,  nel
quadro   della   conformazione   datane   dalla   giurisprudenza   di
legittimita', comportava la liquidazione del  danno  derivante  dalla
perdita del diritto di proprieta', mediante il pagamento di una somma
pari al valore venale del bene con la rivalutazione  per  l'eventuale
diminuzione del potere di acquisto della moneta fino al giorno  della
liquidazione. 
    4.5. - In punto di giurisdizione,  il  Collegio  ritiene  per  il
resto di non  aver  motivo  per  discostarsi  dall'ormai  consolidato
indirizzo giurisprudenziale  secondo  il  quale,  nella  materia  dei
procedimenti di espropriazione per pubblica utilita',  sono  devolute
alla giurisdizione amministrativa  esclusiva  le  controversie  nelle
quali si faccia questione - anche ai fini complementari della  tutela
risarcitoria - di attivita' di occupazione  e  trasformazione  di  un
bene conseguenti ad una dichiarazione di pubblica utilita' e con essa
congruenti, anche se il procedimento all'interno del quale sono state
espletate non sia sfociato in un tempestivo e formale atto traslativo
della proprieta' ovvero sia caratterizzato dalla presenza di atti poi
dichiarati illegittimi (Cons. Stato, A.P. 30 luglio 2007, n. 9  e  22
ottobre 2007, n. 12; T.a.r. Lombardia, Milano, II, 18 dicembre  2007,
n. 6676; T.a.r. Lazio, Roma, II,  3  luglio  2007,  n.  5985;  T.a.r.
Toscana, I, 14 settembre  2006,  n.  3976;  Cass.  civ.,  SS.UU.,  20
dicembre 2006, nn. 27190, 27191 e 27193). 
    5. - Venendo alla verifica  di  legittimita'  dell'assetto  degli
interessi quale definito con la delibera consiliare  di  acquisizione
delle aree in contestazione al patrimonio indisponibile  del  comune,
la giurisprudenza (da ultimo, Cons. giust. ammin., 29 maggio 2008, n.
490), sembra ormai persuasa che l'art. 43 del d.P.R. n. 327 del  2001
persegue  una  finalita'  di  sanatoria  di  situazioni  nelle  quali
l'autorita' dello Stato si sia espressa mediante una compressione del
fondamentale  diritto  di  proprieta'  in  assenza  delle   procedure
legittime  di  esproprio.  Non   rileva   dunque   la   causa   della
illegittimita' del comportamento, se cioe' eseguito in assenza di una
dichiarazione di pubblica utilita' o a seguito  dell'annullamento  di
essa o per altre cause, ma cio' che e' sostanziale e' che l'interesse
pubblico non puo' essere soddisfatto altro che  con  il  mantenimento
della situazione ablativa. 
    5.1.   -   In   altri   termini   la   rottura    dell'equilibrio
autorita-liberta' recata da detta norma e' sottoposta,  per  volonta'
dello stesso legislatore, a limiti formali ma soprattutto sostanziali
che, secondo l'insegnamento della  Adunanza  plenaria  n.  2  del  29
aprile 2005, si riconducono ad un'approfondita e meditata motivazione
sull'esercizio  di  un  tale  potere  extra  ordinem,  la'  dove   il
Legislatore si esprime  con  la  frase  «valutati  gli  interessi  in
conflitto» dal tenore della quale scaturisce  la  necessita'  di  una
valutazione comparativa tra l'interesse pubblico e quello privato. Al
riguardo  l'interesse  privato  non  e'   esattamente   quello   alla
utilizzazione del bene per scopi personali, ma esclusivamente  quello
alla difesa dell'irrinunciabile diritto di proprieta'; la valutazione
non puo' dunque essere  compiuta  tra  l'utilita'  effettiva  che  il
privato ricava o intende ricavare dal bene e quella  a  favore  della
collettivita', ma tra  la  tutela  del  diritto  costituzionale  alla
proprieta' privata e il particolare beneficio che l'acquisizione reca
all'interesse pubblico. 
    La motivazione deve percio' porre in luce esattamente i motivi di
interesse alla  realizzazione  dell'opera,  indicando  anche  la  non
percorribilita' di soluzioni alternative, dando preciso  conto  della
urgenza che ha imposto di obliterare le  procedure  corrette,  ovvero
delle contingenze che hanno interrotto, sospeso, annullato o comunque
non hanno condotto a buon fine il giusto procedimento  espropriativo;
va inoltre evidenziata la assoluta necessita', e non  mera  utilita',
che l'immobile sia acquisito nello stato in cui si trova, dal momento
che la mancata  acquisizione  costituirebbe  uno  spreco  di  risorse
pubbliche. 
    5.2. - Tesi ormai consolidata e' nel senso che il citato art.  43
sia espressione del principio secondo cui, nel  caso  di  occupazione
divenuta sine titulo, vi e' un illecito il cui autore ha l'obbligo di
«restituire il suolo e di risarcire il pregiudizio cagionato»,  salvo
il potere  dell'amministrazione  di  far  venire  meno  l'obbligo  di
restituzione ab extra con l'atto di acquisizione del bene al  proprio
patrimonio quale previsto dai commi 1 e 3  dell'art.  43  sempre  che
ricorrano le condizioni in tale norma specificate (Cons.  Stato,  IV,
27 giugno 2007, n. 3752). Insomma  lo  stesso  art.  43  testualmente
preclude che l'amministrazione diventi proprietaria  di  un  bene  in
mancanza di un titolo valido in quanto previsto  dalla  legge  (Cons.
Stato, IV, 21 maggio 2007, n. 2582), trascrivibile ed  opponibile  ai
terzi, come del resto si deduce  dal  quarto  comma  ove,  anche  per
l'ipotesi residuale di condanna dell'amministrazione al  risarcimento
dei danni conseguente  all'esclusione  ad  opera  del  giudice  della
restituibilita' del bene, e' esplicitamente affermata  la  necessita'
che comunque l'amministrazione stessa disponga il trasferimento della
proprieta' attraverso un «apposito atto di acquisizione,  dando  atto
dell'avvenuto risarcimento del danno». 
    6. - Ove si aderisse al citato orientamento giurisprudenziale, il
ricorso per l'esecuzione del  giudicato,  con  l'annessa  domanda  di
restituzione formulata  in  sede  di  ottemperanza,  dovrebbe  essere
dichiarato improcedibile, atteso  che  e'  ormai  intervenuto  l'atto
formale in via amministrativa  di  acquisizione  sanante,  mentre  il
ricorso avverso la delibera consiliare dovrebbe essere rigettato;  il
provvedimento oggetto di impugnazione  sarebbe  infatti  conforme  al
modello astratto di cui al controverso art. 43. 
    Pur  consapevole  che  tale   e'   ormai   la   posizione   della
giurisprudenza, il tribunale ritiene pero' rilevante, non potendo  il
giudizio essere definito indipendentemente  dalla  risoluzione  della
questione, sollevare la questione di costituzionalita'  dell'art.  43
cit. per violazione degli articoli 3, 24, 42, 97, 113, 117 e 76 Cost. 
    6.1. - Quanto agli articoli  3,  24,  42,  97  e  113  Cost.,  e'
innegabile  che  con  il  Testo  Unico  sull'espropriazione   si   e'
provveduto ad un riordino della materia, sistemando  complessivamente
l'insieme normativo in tema di espropriazione per pubblica  utilita',
prendendosi  in  considerazione  anche  la  disciplina  del   vincolo
preordinato all'esproprio e chiarendo il rapporto  intercorrente  tra
la pianificazione urbanistica ed  il  procedimento  espropriativo  in
senso  stretto.  Si  e'   realizzata   tra   l'altro   una   incisiva
semplificazione  della  procedura  per   giungere   al   decreto   di
espropriazione, che potra' essere emanato solo dopo la  dichiarazione
di   pubblica   utilita',   tornandosi   alla    regola    per    cui
l'amministrazione realizza l'opera sull'area ormai sua con  riduzione
delle ipotesi di occupazione appropriativa o usurpativa. 
    In tale contesto la stessa Adunanza  generale  del  Consiglio  di
Stato,  in  sede  di  parere  (29  marzo  2001)   sul   provvedimento
legislativo in questione,  ebbe  a  ritenere  essenziale  la  riforma
introdotta con l'art. 43, dovendo l'ordinamento adeguarsi ai principi
costituzionali ed a quelli generali del diritto internazionale  sulla
tutela  della  proprieta',  ritenendosi   a   tal   fine   funzionale
l'attribuzione all'amministrazione del potere di emanare un  atto  di
acquisizione  dell'area  al  suo  patrimonio  indisponibile,  con  la
peculiarita' che non viene meno il diritto al risarcimento del danno,
in  base  ad  una  valutazione  discrezionale  sindacabile  in   sede
giurisdizionale. Per la prima volta si e'  formato  il  comportamento
illegittimo  delle  amministrazioni  tenuto  in  sede   espropriativa
attraverso  la  formazione  di  un  nuovo  procedimento  volto   alla
regolarizzazione delle procedure  ablative  illegittime:  in  passato
infatti si  era  prevista  unicamente  l'ipotesi  del  rinnovo  della
dichiarazione di pubblica utilita' ove fossero  trascorsi  i  termini
(art. 13, comma 3, della legge n. 2359/1865), mentre di  recente  era
stato introdotto (art. 3, comma  65,  della  legge  n.  662/l996)  il
criterio temporaneo di  determinazione  legale  dell'ammontare  della
somma  da  corrispondere  a   titolo   risarcitorio.   Soltanto   con
l'introduzione dell'art. 43 si e', pero', ovviato alle ablazioni  dei
beni privati avvenute in violazione  delle  regole  del  procedimento
espropriativo ed osservato i principi affermati a Strasburgo  secondo
cui «l'ingerenza di una pubblica autorita' nell'esercizio del diritto
al rispetto dei beni deve  essere  legale»  e  «l'interferenza  delle
autorita' nel diritto ai rispetto dei beni deve  assicurare  un  equo
bilanciamento  tra  le   esigenze   dell'interesse   generale   della
collettivita' e quelle della salvaguardia  dei  diritti  fondamentali
dell'individuo». 
    6.2. - Tuttavia la previsione normativa in questione di sanatoria
procedimentale e processuale, con una acquisizione postuma  del  bene
illegittimamente occupato, nelle intenzioni  del  Legislatore  doveva
conservare una natura eccezionale, trattandosi di  esercizio  di  una
potesta' unilaterale  a  vantaggio  esclusivo  della  p.a.  che,  per
superare le anomalie delle occupazioni appropriative e/o  usurpative,
provvede una sanatoria che ha a presupposto: 
        1) l'impossessamento materiale del bene da parte della p.a.; 
        2) la sua modificazione ed utilizzazione attuale e pubblica; 
        3)  la   valutazione-contemperazione   degli   interessi   in
conflitto; 
        4) il risarcimento pieno del danno. Fermo il  rispetto  delle
stesse garanzie di partecipazione di regola previste per la procedura
ablatoria ordinaria, la natura eccezionale del potere acquisitivo  in
parola    risiede    peraltro    nello    stesso    valore    sanante
dell'illegittimita' della procedura espropriativa, anche se  solo  ex
nunc. 
    6.2.1. - In realta'  si  evidenzia  che  l'esercizio  del  potere
autoritativo  di  acquisizione  dell'area   al   proprio   patrimonio
indisponibile, attraverso l'adozione di un  atto  amministrativo  che
consente di evitare la restituzione del bene e di sanare la  commessa
illegalita', ha assunto la natura di strumento ordinario, a mezzo del
quale  «si  legalizza  l'illegale»,  ossia  si  legittima  l'acquisto
dell'area privata ove sia gia' stata realizzata un'opera pubblica  in
assenza del  valido  decreto  di  espropriazione;  mentre  dunque  le
disposizioni dall'art. 1 all'art. 42 del  Testo  Unico  hanno  inteso
dettare una  procedura  a  garanzia  degli  interessi  coinvolti  con
doveri,  obblighi  e  limiti  e  che  culmina  con  il   decreto   di
espropriazione, che potra' essere emanato solo dopo la  dichiarazione
di  pubblica  utilita',  l'art.  43  consente  l'illecito   aquiliano
conseguente alla intervenuta occupazione senza titolo che  poi  viene
meno  al  momento  dell'atto  di  acquisizione,  a  mezzo  del  quale
l'amministrazione diviene titolare di un immobile da essa  utilizzato
per fini di interesse pubblico e modificato in assenza di  un  valido
ed efficace provvedimento di esproprio o dichiarativo della  pubblica
utilita', cosi' capovolgendosi la garanzia costituzionale del diritto
di proprieta' di cui all'art. 42 Cost., cio' tanto nella  fattispecie
dell'occupazione  appropriativa  quanto  in  quella  dell'occupazione
usurpativa, sia che la dichiarazione di pubblica utilita' non  vi  e'
mai stata o e' nulla sia che tale provvedimento sia stato annullato. 
    La norma appare dunque incostituzionale nella misura  in  cui  si
consente  alla  pubblica  amministrazione,   anche   deliberatamente,
attraverso l'utilizzazione dello strumento di cui al citato art.  43,
di  eludere  gli  obblighi  procedimentali  della  instaurazione  del
contraddittorio, delle tre fasi progettuali e  della  verifica  delle
norme di conformita' urbanistica, le quali ultime peraltro sono poste
non soltanto dall'autorita' comunale, ma anche da quella regionale  e
da quelle preposte alla tutela di ulteriori e distinti vincoli. 
    A parere del  tribunale,  che  non  puo'  nascondere  la  propria
indignazione in ragione della ricostruzione quale effettuata in punto
di fatto e dell'abuso che si  intende  fare  di  uno  strumento  che,
certo, non puo' divenire un  modo  istituzionale  per  sovvertire  il
diritto, si impone una  lettura  restrittiva  della  disposizione  in
questione, anche perche' nella pratica risulta  difficile  immaginare
ipotesi in  cui  l'amministrazione  non  possa  giustificare  il  suo
operato,  in  via  diretta  o  indiretta,  con   la   finalita'   del
raggiungimento di un pubblico  scopo  (nella  fattispecie  sottoposta
all'attenzione di questo tribunale si tratta della realizzazione  del
campo di calcio  in  un'area  con  scarse  strutture  sportive);  tra
l'altro la norma non sembra pretendere che il fine pubblico si  ponga
in  rapporto  immediato  con  il  prodotto  della  modifica,  laddove
nell'occupazione appropriativa la dichiarazione di pubblica  utilita'
imprime una connessione diretta tra scopo e bene trasformato. 
    6.2.2. - In verita' dubbi  sulla  legittimita'  dell'istituto  in
parola sono stati manifestati sotto diversa prospettiva  anche  dalla
Corte europea dei diritti dell'uomo che, con  recenti  decisioni  (12
gennaio 2006; 8 dicembre 2005), ha evidenziato come  la  deroga  alle
regole fissate per l'espropriazione crei il rischio di  un  risultato
arbitrario ed imprevedibile in violazione del principio  di  certezza
del diritto, essendo in ogni caso necessario  garantire  il  rispetto
della legalita' sostanziale. Da parte sua le Comite' des Ministres du
Conseil de l'Europe in data 14 febbraio 2007 ha  provveduto  con  una
risoluzione  ad  impartire  una   serie   di   indicazioni   relative
all'interpretazione dell'art. 43 al fine di  soddisfare  le  esigenze
della Convenzione dei diritti dell'uomo. 
    In altri termini non e' piu' possibile prescindere  dai  principi
costituzionali e della Convenzione europea dei diritti dell'uomo, cui
si e' ispirato il Testo Unico  n.  327/2001,  in  base  ai  quali  il
diritto di proprieta'  puo'  essere  acquistato  dall'amministrazione
solo con l'emanazione di un formale provvedimento amministrativo,  di
esproprio o di acquisizione a titolo di sostanziale sanatoria  (Cons.
Stato, IV, 10 aprile 2008, n. 1552; 30 novembre  2007,  n.  6124;  16
novembre 2007, n. 5830; 27 giugno 2007, n. 3752; 21 maggio  2007,  n.
2852). 
    6.3. - Per altro verso questo giudice  ritiene  di  sollevare  la
presente questione di legittimita' costituzionale avendo  preso  atto
che, di fatto, la sentenza del giudice amministrativo si sostanzia  e
si colloca quale sorta di atto presupposto del  procedimento  che  si
perfeziona con l'atto di acquisizione; si pone allo stato il problema
di una grave lesione del principio generale  dell'intangibilita'  del
giudicato amministrativo, avente anch'esso natura  costitutiva  e  in
sostanza vanificato da un atto  amministrativo  di  acquisizione  per
utilizzazione  senza  titolo  di  un  bene  per  scopi  di  interesse
pubblico. 
    E' appena  il  caso  di  evidenziare  che  tale  atto  interviene
allorche'  si  e'  gia'  formato  inter  partes  il  giudicato  sulla
richiesta oggetto del ricorso, giudicato che fa stato tra le parti, i
loro eredi ed aventi causa nei limiti oggettivi  costitutivi,  ovvero
il «titolo» o causa petendi della stessa azione  ed  il  «bene  della
vita» o petitum mediato che ne forma oggetto, come tale coprendo  «il
dedotto ed il deducibile», cioe' non solo le questioni di fatto e  di
diritto fatte valere in via di azione e  di  eccezione  e,  comunque,
esplicitamente investite dalla decisione, ma anche le questioni  che,
pur non dedotte in giudizio, costituiscano un presupposto  logico  ed
indefettibile della decisione stessa. Il pericolo e' di eludere tanto
l'efficacia sostanziale del giudicato civile o amministrativo sancita
dall'art. 2909 cod. civ., secondo il quale il giudicato fa stato solo
fra le parti che hanno partecipato al giudizio, quanto i principi che
disciplinano  la  valenza   e   gli   effetti   propri   degli   atti
amministrativi in funzione della loro natura. 
    L'applicazione dello strumento di cui al  citato  art.  43,  come
nella fattispecie, potrebbe essere reiterata all'infinito, a conferma
di come uno strumento che era stato concepito come  straordinario  e'
diventato  strumento  ordinario,  con  relativa   vanificazione   dei
principi  di  certezza  giuridica  e  di   tutela   delle   posizioni
giuridiche; il Collegio ha tentato inutilmente, praticando il  canone
ermeneutico dell'interpretazione adeguatrice, di utilizzare tutti gli
strumenti ermeneutici quali  riconosciuti  per  trarre  dalla  citata
disposizione censurata un significato costituzionalmente corretto. 
    7. - In relazione all'art.  117  Cost.,  il  tribunale  non  puo'
ignorare quanto di recente (Corte cost., 24  ottobre  2007,  n.  349)
dichiarato con riguardo all'art. 5-bis del  d.l.  n.  333  del  1992,
convertito in legge n. 359 del 1992, il cui comma 7-bis, 
    quale introdotto dall'art. 3, comma 65, della legge  n.  662  del
1996, e' stato dichiarato incostituzionale in quanto non prevederebbe
un ristoro integrale del danno subito  per  effetto  dell'occupazione
acquisitiva da parte della pubblica  amministrazione,  corrispondente
al valore di mercato del bene occupato, dunque in contrasto  con  gli
obblighi  internazionali   sanciti   dall'art.   1   del   Protocollo
addizionale  alla  CEDU  e  con  l'art.  117,  primo   comma,   Cost.
Quest'ultima  disposizione  condiziona  l'esercizio  della   potesta'
legislativa dello Stato e delle regioni al  rispetto  degli  obblighi
internazionali, tra i quali indubbiamente rientrano quelli  derivanti
dalla CEDU, rendendo inconfutabile la  maggior  forza  di  resistenza
delle norme CEDU rispetto a leggi ordinarie successive ed attraendole
nella sfera di competenza della Consulta, dal momento che  l'asserita
incompatibilita' tra la norma legislativa ordinaria e la  norma  CEDU
si presenta come una questione  di  legittimita'  costituzionale  per
eventuale violazione dell'art. 117, primo comma, Cost. quale non puo'
ritenersi operante solo nell'ambito dei rapporti tra lo  Stato  e  le
regioni. 
    Nella fattispecie il contestato art. 43 non  appare  conforme  ai
principi della Convenzione europea sui diritti dell'uomo,  che  hanno
una diretta  rilevanza  nell'ordinamento  interno  (art.  117,  primo
comma, Cost., secondo cui  le  leggi  devono  rispettare  i  «vincoli
derivanti dall'ordinamento comunitario») e con lo stesso art.  6  (F)
del Trattato di Maastricht (modificato dal Trattato di Amsterdam), in
base al quale «l'Unione rispetta i diritti  fondamentali  quali  sono
garantiti dalla Convenzione europea per la salvaguardia  dei  diritti
dell'uomo e delle  liberta'  fondamentali,  ...  in  quanto  principi
generali del diritto comunitario». La costante  giurisprudenza  della
Corte europea dei diritti dell'uomo  (20  aprile  2006;  15  novembre
2005; 17 maggio 2005) ha sul punto piu' volte riaffermato il  diretto
contrasto con l'art. 1,  prot.  1,  della  Convenzione  della  prassi
interna    sulla    «espropriazione    indiretta»,    secondo     cui
l'amministrazione diventerebbe proprietaria del bene in assenza di un
atto ablatorio; le norme della CEDU del resto integrano il  parametro
costituzionale ed e' necessario che siano conformi alla Costituzione,
mentre lo scrutinio di costituzionalita' nei loro riguardi  non  puo'
limitarsi  alla  possibile  lesione  dei  principi  e   dei   diritti
fondamentali o dei principi supremi, ma si estende ad ogni profilo di
contrasto tra le «norme interposte» e quelle costituzionali. 
    8. - Quanto all'art. 76  Cost.,  va  premesso  che  la  legge  n.
59/1997 ha disposto che la legge annuale di  semplificazione  preveda
la delegificazione di  procedimenti  amministrativi  ed  il  riordino
normativo di vari settori dell'ordinamento; in particolare, a  fronte
di un «caos normativo», con la redazione  dei  Testi  Unici  previsti
dagli articoli 7 e 8 della legge n.  50/l999  si  e'  effettuata  una
codificazione per settori delle disposizioni, anche di rango diverso,
stratificatesi nel corso degli anni, raccogliendosi le norme di grado
secondario,  relative  ai  procedimenti  gia'  delegificati,   e   le
disposizioni legislative rimaste estranee a tale fenomeno. 
    In  considerazione   della   contemporanea   vigenza   di   norme
eterogenee, concernenti ogni fase del procedimento espropriativo,  si
ritenne di non riportare nel Testo Unico tutte le  norme  in  vigore,
redigendosi  percio'  un  articolato  di   carattere   generale   con
l'abrogazione  di  tutte  le  precedenti  normative,  generali  o  di
settore.  Il  risultato  e'  stato  concepire  il  provvedimento   di
esproprio come l'atto terminale di un terzo procedimento, spesso  con
carattere dovuto  in  quanto  l'amministrazione  si  e'  immessa  nel
possesso del bene in base  all'ordinanza  di  occupazione  d'urgenza,
collegato agli altri due precedenti procedimenti dell'imposizione del
vincolo preordinato all'esproprio e della dichiarazione  di  pubblica
utilita' che interviene con l'approvazione del progetto definitivo. 
    8.1. - Tuttavia l'art. 7,  comma  2,  lett.  d)  della  legge  n.
50/1999 ha unicamente previsto che il Governo  desse  luogo  al  mero
«coordinamento  formale  del  testo   delle   disposizioni   vigenti,
apportando,  nei  limiti  di  detto   coordinamento,   le   modifiche
necessarie per garantire  la  coerenza  logica  e  sistematica  della
normativa anche al fine di  adeguare  e  semplificare  il  linguaggio
normativo». 
    Ora, non pare che la norma della cui costituzionalita' si  dubita
trovi  riferimento  o  principi  e   criteri   direttivi   in   norme
preesistenti,  ne'  puo'  agevolmente  sostenersi   che   la   figura
dell'acquisizione costituisca una modifica necessaria  per  garantire
la coerenza logica e sistematica  della  normativa;  non  era  dunque
consentito, eccedendo i limiti della delega, contemplare l'emanazione
di un legittimo provvedimento di acquisizione  sanante,  pur  con  la
considerazione  che  si  tratta   dell'unico   rimedio   riconosciuto
dall'ordinamento  alla  pubblica  amministrazione  per   evitare   la
restituzione dell'area in favore del privato. La norma si pone dunque
radicalmente in contrasto con le finalita' che, attraverso i principi
ed i criteri enunciati, la legge delega si e' prefissata.